giovedì 14 febbraio 2013

La lettera d'amore


                                                                                        

Cara capra
come ci si innamora? Si casca? Si inciampa, si perde l'equilibrio e si cade sul marciapiedi, sbucciandosi un ginocchio, sbucciandosi il cuore? Ci si schianta per terra, sui sassi? O è come rimanere sospesi oltre l'orlo di un precipizio, per sempre?
So che ti amo quando ti vedo, lo so quando ho voglia di vederti. Non un muscolo si è mosso. Nessuna brezza agita le foglie. L'aria è ferma. 
Ho cominciato ad amarti senza fare un solo passo. Senza neanche un battito di ciglia. Non so neppure quando è successo. Sto bruciando. E' troppo banale per te? No, e lo sai. Vedrai. E' quello che capita, è quello che importa. Sto bruciando. Non mangio più, mi dimentico di mangiare, mi sembrauna cosa sciocca, che non c'entra. Se ci bado. Ma non bado a niente. I miei pensieri straripano furiosi, una casa piena di fratelli, legati dal sangue che si dilaniano in una faida

"Mi sto innamorando"
 "Tipica scelta stupida"
"Eppure..... l'amore mi tormenta come fosse dolore"
"Sì, continua così, manda a puttane la tua vita. E' tutto sbagliato e lo sai. Svegliati. Guarda le cose in faccia".
"C'è una faccia sola, l'unica che vedo, quando dormo e quando non dormo".
Stanotte ho buttato il libro dalla finestra. Ho provato a dimenticare. Tu non vai bene per me, lo so, ma quello che penso non mi interessa più, a meno che non pensi a te. Quando sono accanto a te, davanti a te, sento i tuoi capelli che mi sfiorano la guancia anche se non è vero. Qualche volta guardo altrove. Poi ti guardo di nuovo. Quando mi allaccio le scarpe, quando sbuccio un'arancia, quando guido la macchina, quando vado a dormire ogni notte senza di te, io resto    

                           come sempre                         
                           Montone


da "La lettera d'amore" di Cathleen Schine

martedì 12 febbraio 2013

Le parole che non so ritrovare

Quando ero piccina scrivevo di continuo. Era uno strano rapporto amoroso, quello con la carta, che mi spronava a consumare quaderni, agende, libretti e libricini. Masticavo pagine e matite, inchiostro e dita...Usavo riempire ogni pagina di racconti ma anche disegni e fotografie.

La mia vita era fatta di parole luminose e colorate, sospese tra i fotogrammi scattati con quella vecchia Polaroid che appendevo al collo e con cui registravo qualsiasi immagine rigogliosa che i miei occhi ingenui sapessero raccogliere. Poi integravo diari e racconti con linee fantasiose tracciate con carboncini, chine e disegni a matita.

La carta mi chiamava a sé come il nettare primaverile fa con le sue api e, in preda ad un inspiegabile estro, mi lasciavo trascinare dalla smania di dire.

Il rapporto con le mie stesure era però assai burrascoso; non era certo infrequente che distruggessi i miei scritti. Capitava infatti di sentirmi turbata dalla povertà che, rileggendo le tanto agognate elaborazioni a distanza di tempo, inevitabilmente vi ritrovavo.

Ricordo che durante l'adolescenza il tragitto in autobus da scuola a casa era il più proficuo. Avevo una mezz'ora tutta per me, intima e profonda. Gli scorci del lago tagliavano velocemente il mio orizzonte e con un blocchetto appoggiato alle ginocchia tracciavo linee traballanti sulla carta riciclata. Costruivo frasi solitarie, spesso ripide e malinconiche, volte a sagomare gli stati d'animo effimeri dei miei ritorni a casa.

Tutto è cambiato con gli ultimi anni di liceo, quando verso la fine del quarto anno Tu mi sei mancata ed hai trascinato via con te tutte le mie parole, le mie polaroid, le mie matite e le mie chine. I fotogrammi  persero i loro toni ed io non trovai più verbo da tramutare in lettere. 

Non ne conosco il motivo ma so per certo che scrivere, era divenuto tremendamente doloroso e inutile e vuoto e lontano.

Ancora oggi mi sento così. Per quanto io ci provi, mi sento ancora mimetizzata e costretta da quel lontano senso di vuoto, senza respiro e senza dita. Lontana da quei momenti gelidi ma ancora tanto vicina da sentirli ansimare dietro di me. Quasi mi rincorressero.

Vorrei tanto che un giorno, le mie parole tornassero a casa.



N.B.







sabato 9 febbraio 2013

La tua relazione con me


La tua relazione con me non è come lavorare la creta,
apprezzo i tuoi sforzi di dipingermi, 
ma copri i miei difetti con allarmismo. 
D’accordo parlo poco, 
ascolta il mio ascolto, 
il silenzio che ti regalo
o la bellezza di questa giornata di pioggia.
Se pensi che mi offendi quando mi chiami pane e olio sbagli, 
anzi mi piace essere un gusto semplice però non credere che io non sia capace d'altro. 
Guardare è uno stato mentale,
una visuale completamente personale, 
che rende vario e straordinario ogni momento.